mercoledì 9 settembre 2009

QUARTO RACCONTO

Qui di seguito vi posto il mio quarto racconto che è stato premiato in un piccolo concorso di prosa e poesia, quello di Solarolo Rainerio (CR). Il tema del concorso, per la mia fascia, era: "Musica e parole: emozioni tra le note". In fondo al testo ho messo alcune note.

TORNO A PRENDERTI

“Perdona, o Signore, i miei peccati”, con flebile voce Hellen stava pregando distesa nel suo letto. Era consapevole della sua vecchiaia. Tutti i giorni lo specchio la ritraeva sempre più anziana con i capelli, giorno dopo giorno, lentamente più ingrigiti e le rughe del viso via via più profonde. Molti dubbi ne assillavano la mente già piena di pensieri, di errori commessi e di azioni mancate.
Nella stanza dalla finestra aperta spirava una lieve brezza che, scostando le tende, permetteva il passaggio smorzato dei rumori della vita che si svolgeva nelle strade della città di Praga.
"Elisabeth, mia cara”, disse a una delle sue nipoti presenti, “suona ancora per me !” e la giovane iniziò a eseguire al piano il "Notturno in do diesis minore" di Chopin.
Già alla prima nota prese vita un ricordo di ragazza.
Aveva sedici anni. Seduta tra i banchi della chiesa si stava godendo il concerto. Nel bel mezzo del Panis Angelicus si protese verso la sua amica e con il dito indicò un ragazzino al centro del coro e chiese “Chi è quello ?”, a cui segui la risposta, “Ah, Lui ? È un certo Mattheus Kammer. Dicono che sia un ebreo.” Ed Hellen si smarrì al canto di quella voce di tenore.
Le campane della cattedrale di Santo Stefano iniziarono un rintocco festoso e lei si catapultò con la memoria a quando era di bianco vestita, giovane sposa ferma all’altare. Mattheus le stava infilando l’anello all’anulare e per un attimo lesse la fascia interna e ne fu sorpresa. Si aspettava i loro nomi con le date o forse una scritta del tipo “PER SEMPRE” o “PER L’ETERNITÀ” e invece lui vi aveva fatto incidere “TORNO A PRENDERTI”. Era stato dunque così grande e intenso il loro amore ? E dire che i suoi genitori mai avrebbero voluto che la loro unica figlia sposasse un ebreo. Erano tempi difficili. Nel ’39 i tedeschi avevano invaso la Repubblica Ceca e l’anno successivo avevano cacciato ogni giudeo tramite le leggi razziali, adducendo ogni sorta di motivazione a volte anche assurda. “La razza ariana deve essere pura, senza contaminazioni”, declamavano i conquistatori.
In quegl’anni lei era un’affermata soprano mentre lui aveva trovato lavoro come tenore al New German Theatre. Lei sapeva suonare il violino mentre lui il pianoforte. Ricorda ancora il loro primo viaggio di nozze. Impossibilitati a lasciare la città a causa dell’invasione, decisero di visitare nuove località con la fantasia e la musica. Dall’archetto del suo strumento spuntò una vivace tarantella ed ecco che emerse Napoli con lo sbuffo del Vesuvio e il suo golfo, dalle note del pianoforte un valzer disegnò nell’aria la città di Vienna con le sue vie e i suoi palazzi, al canto di “Margaret’ghost” di Haydn ecco la Scozia con i suoi dirupi e i suoi castelli.
Il loro idillio non durò molto, solo pochi mesi dopo li obbligarono a lasciare Praga. Dovettero partire in fretta per la fortezza di Terezin. Unica concessione:una valigia a testa. Ricordava ancora quel viaggio in treno in cui al canto sommesso dei deportati si mescolavano le grida cacofoniche delle guardie. Terezin, “la città che il führer ha donato agli ebrei”, la “soluzione finale”, ciò che ci voleva per disfarsi di tutti i semiti, che secondo i tedeschi, “infettavano la società”. Il ghetto, a forma di stella, era stato pubblicizzato come centro termale o come ricovero per ebrei anziani per invogliare la popolazione non ariana a recarvisi spontaneamente. E invece si rivelò un posto misero, squallido e sovrappopolato, con il cibo scarso e le malattie frequenti. Di tanto in tanto un treno portava via qualche migliaio di residenti. Dicevano che li trasportavano in località amene, che servivano le loro braccia per costruire ed edificare ferrovie e fabbriche, ma nessuno tornava mai indietro. Si vociferava che quei luoghi rispondessero al nome di Birkenau o Auschwitz.
Di fronte alle difficoltà Mattheus la consolava spesso: “Cos’è l’amore se non un altro modo di valicare mari e monti , di percorrere strade e ponti ?” affermava.
Il marito non rimase molto a Terezin. Un giorno si rifiutò di eseguire l’Inno alla gioia di Beethoven. “Come posso”, dichiarava, “intonare parole festose e piene di vita se il mio stesso cuore piange vedendo la sorte dei miei simili ?”. Non lo rivide mai più, così come non rivede mai più i volti di quei bambini, Eve, Adam, Jacob, Hanna e molti altri che erano passati per quel luogo di afflizione. Pure loro erano affamati e lei non seppe altro che offrire le note di una ninnananna.
La guerra finì e lei si sentì sola e disperata. Volle farla finita e si decise a gettarsi dal ponte Carlo nelle acque profondamente azzurre della Moldava.
Si mise ritta sulla balaustra e nel momento di lanciarsi sentì da una chiesa vicina le note del Panis Angelicus e improvvisa una vocina nella sua testa continuava insistentemente a ripeterle: “Torno a Prenderti”. Desistette. D’altronde l’aveva sempre saputo, percepiva la presenza del marito nel vento che, spirando attorno a lei, faceva ondeggiare le spighe di grano e increspare la superficie delle acque del fiume. Ne avvertiva l’esistenza nel crepitio delle fiamme del focolare quando nella solitudine rivangava ciò che era stato. Intuiva che lo spirito di Mattheus permeava quel piccolo pezzetto del violino che dall’interno sorregge il ponticello e che i maestri liutai ostinatamente chiamano “anima”.
“Come avrebbe potuto tornare chi in realtà non se ne era mai andato dalla mente e dal cuore ?” si domandava spesso. E lei si sentiva realmente accanto a lui ogniqualvolta che pizzicando le corde del suo strumento con l’archetto ne scaturiva una melodia.
E ora, sdraiata sul giaciglio, attendeva chi sa cosa mentre il suo vigore scemava poco a poco, come una candela che lentamente si spegne all’approssimarsi del giorno. Si volse verso il comodino e sorrise alla foto di una giovane coppia di sposi e nel momento in cui l’ultima nota del pianoforte ancora vibrava le tornò in mente quello che un piccolo e anonimo ragazzino le aveva scritto: “Prova ad aprire il tuo cuore alla bellezza quando cammini tra la natura per intrecciare di ghirlande i tuoi ricordi: anche se le lacrime ti cadono lungo la strada, vedrai che è bello vivere”.

Nota: Innanzitutto devo dire un grazie a Elena, professoressa, musicologa, pianista, e arpista, e a Matteo, suo marito, ingegnere colto e preparato, per avermi prestato i loro nomi nelle vicende di questo mio racconto. Vorrei inoltre ringraziare anche Sergio e Isabella per avermi sopportato e supportato nella stesura di questa mia storia. Devo ringraziare anche la signora Hildegard, un maestro liutaio di Cremona, che con passione mi ha mostrato la storia della costruzione di un violino a partire dal ceppo di legno fino al prodotto finale e tutti i suoi componenti.
Per questa mia narrazione mi sono ispirato ad alcuni fatti realmente accaduti. Nel 1940 Hitler donerà letteralmente una città agli ebrei, la fortezza di Terezin. La città era stata voluta dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria quale fortezza per proteggere Praga dall'esercito prussiano. Ironia della sorte vuole che non servirà proprio a nulla e rimarrà inutilizzata per più di un secolo. Nel 1918 vi morirà Gavrilo Princip, l'esecutore materiale dell'attentato di Sarajevo, l'evento scatenante la Prima Guerra Mondiale. La planimetria di Terezin è realmente a forma di stella e nella mente malata di Hitler sarà la città ideale per confinare prima e disfarsi poi degli scomodi ebrei. Nessuno si accorse di nulla, nemmeno la Croce Rossa che nel '44 vi mise piede per verificare talune dicerie e su pressione della Svezia. Fu girato perfino un documentario per sensibilizzare l'opinione pubblica e per dimostrare che dopo tutto i nazisti erano brava gente: sarà uno dei rari esempi di propaganda del potere. Di esso se ne sono conservati solo alcuni frammenti. A Terezin, durante la sua attività fu abitata 144000 ebrei, 33000 morirono di stenti, circa 90000 finirono il altri campi di concentramento, passarono di lì non meno di diecimila bambini, per la maggioranza orfani, di età compresa tra i due e i sedici anni. Di essi solo un centinaio sopravvisse alla fine del secondo conflitto mondiale. É curioso che in un luogo del genere venne concepita una piccola opera lirica per bambini dal nome di Brundibar di Hans Krasa. Le ultime righe del mio racconto sono tratte da una poesia scritte da un ragazzo anonimo di circa 12 anni deportato prima a Terezin e poi ad Auschwitz. Questo mio racconto vuole essere un memoriale nei confronti di chi ha sofferto in questo luogo.





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