mercoledì 6 luglio 2011

NADEYA ovvero LA GIOVINEZZA DI UN RE


Vorrei narrare una storia che finisse con "e vissero tutti felici e contenti". Ma non è così.
Nadeya, del compositore rivarolese Cesare Rossi, è una opera melodrammatica scritta sulle parole di Luigi Illica, il "paroliere" di molte composizione di Puccini. Essa venne messa in scena nel maggio del 1903 a Praga, in lingua tedesca, e successivamente a Mantova nel 1904, in lingua italiana.
Proprio in quel periodo vi era una guerra dichiarata tra le due maggiori case discografiche, la Ricordi e la Sonzogno. La guerra culminerà in veri e propri atti di sabotaggio "musicale" ai danni una dell'altra. Basti pensare alle due Boheme. La prima di Leocavallo, campeggiata da Sonzogno, la seconda di Puccini, supportata da Ricordi. Ambedue, nonostante un tacito accordo, vennero messe in scena non solo lo stesso giorno ma pure nella stessa città, Venezia. Vi lascio immaginare l'esito: Puccini fece quasi del tutto dimenticare Leoncavallo.
Pochi anni più tardi, Sonzogno si vendicherà pagando veri "fischiatori" professionisti alla prima della "Madame Butterfly" di Puccini, una delle opere italiane più amate.
La guerra tra le case coinvolgerà anche il nostro Cesare Rossi, reo di aver introdotto un'aria nella sua Nadeya. Se ne accorgerà un certo Umberto Giordano, uno dei più importanti compositori del primo novecento. Egli aveva introdotto nella sua "Siberia" del 1904, scritta anch'essa su testo di Luigi Illica, la stessissima aria. Più volte aveva scritto a Illica chiedendogli di intercedere presso lo stesso Rossi in maniera che quest'ultimo togliese l'aria incriminata, dopotutto il Rossi l'aveva utilizzata una sola volta mentre lui l'aveva impiegata più volte. Cesare Rossi non mollò e il tutto si risolse in una accusa di plagio. In realtà il plagio non sussisteva in quanto entrambi i musicisti avevano tratto l'aria da un canto popolare russo, il canto dei vogatori del Volga, ognuno all'insaputa dell'altro. Venne istituito il processo che si concluse contro lo stesso Cesare Rossi, in parte perchè il compositore aveva deciso di non combattere più di tanto. L'opera Nadeya venne quindi, nonostante il grandissimo successo iniziale, ritirata dai teatri e riformulata sottoforma di opera per canto e pianoforte, per poi, dal 1925 in poi, sparire definitivamente dai tabelloni teatrali.
Miglior sorte non ebbe "Siberia", guarda caso ambientata quasi negli stessi luoghi di "Nadeya". Umberto Giordano se ne era affezionato a questa sua opera musicale, e la considerava la sua miglior creazione. Ciò nonostante la si ascolta raramente, soppiantata da opere certamente più famose.
Fu così che "il canto dei condannati", utilizzato sia in "Siberia", sia in "Nadeya", venne dimenticato. Oggigiorno sembra sparito anche lo spartito orchestrale. Una vecchia storia rivarolese narrà che tale spartito sia stato in possesso di Gorni Kramer, uno dei compositori rivarolesi più noti. Non lo sappiamo.

Qua Maria Caniglia canta "Qual vergogna" da "Siberia"

Fin qui la storia, ma ce ne è un'altra non scritta che mi ha coinvolto personalmente.
Tutto inizia nel 2004. All'epoca sapevo del plagio (tutti i bravi rivarolesi la conoscevano), ma conoscevo poco e nulla di Cesare Rossi, nonostante abitassi, e abito ancora, nella via a lui dedicata. Non conoscevo Nadeya e non conoscevo Siberia. Nel 2004 mi recai in villeggiatura a Chienes, in Val Pusteria, a pochi chilometri da Brunico. Un giorno decidemmo di recarci a piedi a Brunico, sono circa 10 chilometri lungo un tragitto dolcemente ondulato. Qui a Brunico decidemmo di fermarci e prima della visita alla cittadina ci fermarmmo a mangiare nei pressi della collina che domina la città. Finiti i panini andammo in esplorazione, qualcosa mi attraeva verso la cima. Capitammo così nel cimitero militare di Brunico. Ricordo i vialetti che si intersecavano, le aiuole ben ordinate, il silenzio tra le croci, i nomi e le età, tutti giovanissimi, dei morti.
Alla sera sognai. Ero nel camposanto di Rivarolo. Esattamente nel centro, proprio là dove sorge il monumento ai dispersi in guerra. Improvvisamente mi spuntarono ali d'aquila che mi trasportarono in alto. Vidi Mantova, il Mincio, il Garda, Trento, l'Adige e Brunico con il suo cimitero militare. Sotto di me centinaia di fiammelle ondeggianti. Atterrai nel mezzo e davanti a me si elevo verso il cielo una colonna di luce in cui vorticavano vari spiriti. Li sentivo cantare una melodia meravigliosa, quasi angelica. Piansi e mi risvegliai piangendo.
Due anni più tardi seppi che quella melodia era il perduto canto dei condannati.
Ma tutto non è perduto. Youtube in questo ci da una mano ed ecco, solo per voi, "Il canto dei condannati", tratto da "Siberia". Anche se le parole cambiano, la melodia è la stessa contenuta in Nadeya.



lunedì 4 luglio 2011

LETTO PER VOI


1891
"Questa storia ha inizio in una citta di ossa. Nelle vie dei morti. Nei viali silenziosi, nei passaggi e nei vicoli ciechi del cimitero di Montmartre, a Parigi, un luogo abitato da tombe e angeli di pietra, e dagli spiriti vaganti di chi è stato dimenticato prima ancora che il suo corpo  diventasse freddo nella fossa".

Inizia così, l'incipit, di questo romanzo sul genere mistery. Si narrano le vicende di due donne separate da circa un secolo di distanza. La prima è Leonie Vernier, sorella di Anatole Vernier, di diciasette anni, suo malgrado coinvolta nelle oscure faccende del fratello.
L'altra è Meredith Martin, giovane ricercatrice, che dall'America, dove è sempre vissuta, si reca in Francia sulle tracce di Claude Debussy, uno dei più importanti compositori del primo novecento francese. L'intento di Meredith si scontra però con la voglia di scoprire le radici del suo passato che si è svolto in Francia circa un secolo prima. Ad accomunare le vite di queste due donne vi è uno strano e diabolico mazzo di tarocchi, dal potere occulto di richiamare il male che circonda i vivi.
Nel romanzo non manca la storia d'amore, tra l'altro appena accennata, e i cattivi (di cui non vi dirò il nome per non rovinarvi il gusto della lettura).
Uno dei protagosti secondari è la musicache qua e la pervade il testo: la ricerca su Claude Debussy, le note dipinte sull'orlo della gonna di uno dei tarocchi (scoprite voi quale), il tumulto parigino della prima di Thannhauser di Wagner, lo strano spartito perduto e ritrovato, la musica inquietante che Leonie a un certo punto riesce a udire, ecc.
Non mancano nemmeno accenni ai temi tanto cari a Voyager: templari, Rennes-le-Château, Carcassonne, e l'abate Berenger Sauniere, giusto un tocco o come dicono i farmacisti q.b. (Quanto Basta).
La lettura è piacevole e scorre parallela tra passato e presente, travolgente al meno fino al penultimo capitolo.
Come è scirtto nel libro: "Fujhi, poudes. Escapa, non" ("Fuggire puoi. Salvarti, no")