sabato 29 gennaio 2011

LA CITAZIONE DEL MESE

"Di regola, i fiori sbocciano ma non hanno voce, i galli piangono ma non hanno lacrime. Ai nostri giorni, coloro che praticano il bene sono pochi come i fiori che spuntano sui picchi rocciosi, coloro che praticano il male sono numerosi come i fili d'erba che ricoprono le montagne. Colui che pecca e non si redime, ignorando la legge di causa ed effetto, è come un cieco che non si accorge di pestare la coda della tigre. Colui che per rincorrere fama e ricchezze toglie la vita a un essere vivente è come un folle che vuole stringere al seno un serpente velenoso. Ciò che mai si distrugge è la semenza del male. Ciò che è difficile da discernere è la radice del bene."

Kyōkay (monaco zen del IX sec.) dal "Nihon ryōiki" (Letteralmente "Cronache soprannaturali e straordinarie del Giappone sulla retribuzione in vita per il bene e il male commesso"

domenica 23 gennaio 2011

MUSICA PROIBITA

Nel 1888 un giovanissimo compositore, che aveva pure lasciato inconcompiuti gli studi al conservatorio di Milano, partecipò al un secondo concorso indetto dalla casa discografica Sonzogno. Quel compositore era Pietro Mascagni e vinse la competizione con l'opera "Cavalleria rusticana" tratta da una novella di Giovanni Verga.
A quella stessa gara partecipò anche un'altro compositore, il torinese Stanislao Gastaldon, con un'opera, "Mala Pasqua", pure anch'essa tratta dalla novella di Giovanni Verga. Entrambe queste due opere vennero rappresentate nel 1890 ma il successo di Cavalleria rusticana la offuscò (e non fu l'unica a subire l'eclissamento) e in seguito venne dimenticata. Di essa sopravvisse solo la canzone "Musica Proibita".
Nel testo una fanciulla vuole ripetere il ritornello di una canzona d'amore che un bel garzone, da sotto il balcone, le canta ogni sera ma ciò le è proibito dalla madre senza però capirne il motivo. Aprofittando della assenza della madre intona le parole "Vorrei baciare i tuoi capelli neri /le labbra tue e gli occhi tuoi severi /Vorrei morir con te angel di Dio /O bella innamorata tesor mio [...]

Nonostante una decina di opere scritte ma mai pubblicate e un centinaio di canzoni, di Gastaldon sopravvive solo questa canzone. Molte delle sue opere vennero infatti distrutte in un incendio avvenuto negli archivi Sonzogno. Il fatto poi che questo compositore, dal carattere un pò schivo, che mai si riconobbe negli ideali fascisti degli anni venti e mal si adattava alla vita sociale, lo relegarono in secondo piano fino al punto che lo stesso Gastaldon dovette arrangiarsi per vivere vendendo quadri. Morì quasi dimenticato nel 1939.

Una cosa curiosa di questa canzone è che, sebbene sia stata scritta per voce femminile, la si può trovare cantata anche da un tenore o anche da un baritono.

Quello che vi propongo è la versione per duetto.

mercoledì 19 gennaio 2011

L'ALTRO "ORFEO"

La trsite vicenda di Orfeo hanno sempre ispirato tutte le arti, non solo quelle figurative ma anche quelle musicali. Sul mito di Orfeo si contano decine di opere, in cui i due sfortunati amanti vengono rappresentati in tutte le salse: si va dall'Orfeo di Monteverdi in stile classico all'Orfeo et Euridice di Gluck in cui tutto finisce bene (l'opera è stata commissionata per un matrimonio imperiale) all'irriverente e satirico "Orphée aux enfers" ("Orfeo agli inferi") di Offenbach dove il nostro eroe viene dipinto come un violinista di quart'ordine mentre Euridice è stanca della musica del marito. Quando nel 1858 venne alla luce questa operetta subito si scagliarono contro Offenbach feroci critiche per aver profanato e dissacrato il mito greco. Ciò nonostante vennero eseguite ben 228 repliche ininterrotte che terminarono, tra le proteste della gente, solo perchè il cast era esausto. E vedendo il filmato del travolgente finale potrete capire da soli il perchè di così tanto successo. E ancora oggi la musica di Offenbach rappresenta la sigla della "Belle Epoche".




Si dice che le ballerine non portassero le mutande. Io questo non lo so ma di certo tale indumento non lo portavano le ballerine del Mouline Rouge. E anche questo contribuì, in seguito, al grande successo di Offenbach.

Nel quadro sotto, di Emile Levy, intitolato "La morte di Orfeo", del 1866, viene rappresentato il tragico finale post-euridice, quando Orfeo, ormai realizzato la perdita definitiva della sua amata, non ha interesse alla vita e il suo canto si fa triste e lucubre, anche di fronte all'occasione di un'orgia dionisiaca. (Ogni riferimento a noti personaggi politici odierni è puramente casuale). Le menadi, le donne invasate e perennemente ubriache del dio Bacco (Dioniso), non riescono a sedurlo e lo fanno a pezzi dalla rabbia. La leggenda dice che la morte avvenne sulle rive dell'Eridano (l'antico nome del fiume Po) e che i pezzi si trasformarono in salici. Un'altra versione, la mia preferita perchè più poetica, afferma invece che il corpo smembrato venne traformato nel pioppo tremulo: se accostate l'orecchio alla foglie che fremano in una giornata di vento potete ancora udire il cantore mentre chiama la sua Eurydice.
Nel dipinto in alto al destra è  una donna che sta soffiando in una canna. E' l'aulos, l'antenato del flauto. Dietro di lei, in secondo piano, un'altra regge il tympanon, una sorta di tamburello costituito da una pelle di animale tesa su di un cerchio in legno. Aulos e Tympanon erano strumenti quasi disprezzati dai greci antichi ma necessari per entrare in una sorta di trance divina. Al di sopra di Orfeo, un'altra menade sta sferzando il musico con il tirso ovvero con una sorta di scettro costituito da un bastone terminante con una pigna (il tirso è uno dei simboli di Dioniso). Accovacciata accanto a lui un'altra regge in una mano un falcetto pronta per farlo a pezzi. Subito a destra un'altra menade è avvolta da un serpente, simbolo per eccellenza della morte.
Orfeo giace svenuto per terra con la lyra abbandonata e le corde rotte.




Il mito greco però ha conosciuto due Orfei, ma dell'altro "Orfeo", di nome Arione, ne parlerò nel prossimo post.

sabato 8 gennaio 2011

RICORRENZE

L'8 gennaio 1324 moriva a Venezia, dopo quasi diciasette anni vissuti all'estero e due nelle patrie galere genovesi, messer Marco Polo. Questo personaggio storico è stato per me fondamentale per la mia crescita culturale. All'età di otto anni, ricevetti dai miei genitori, il mio primo libro: "il milione" nell'edizione curata da Maria Bellonci. Il libro c'è l'ho ancora anche se un pò rovinato dal troppo uso.

venerdì 7 gennaio 2011

LO STRETTO SENTIERO

"Eterni viandanti sono i giorni e i mesi, e gli anni, che vanno e vengono. Chi trascorre una vita fluttuante su una barca e chi accoglie la  vecchiaia con in mano la briglia di un cavallo, viaggia giorno dopo giorno e fa del viaggiare la sua dimora. Anche numerosi uomini dei tempi antichi morirono in viaggio. Io pure, non so dire da quando, albergo nel cuore l'inestinguibile desiderio di vagare attratto dal vento che sospinge le nuvole sparse"

Matsuo Bashō (da "Oku no hosomochi" Trad. "Lo stretto sentiero verso Nord" - lett. "Il sentiero verso l'Oku")


Nella storia letteraria dell'umanità, i resoconti di viaggio sono situati in una posizione particolare. Pensate un po' alla Odissea di Omero con il lungo viaggio di ritorno a Itaca di Ulisse o al più medioevale ciclo arturiano con le imprese dei cavalieri alla ricerca del Sacro Graal. Se volete anche la Divina Commedia la si può considerare come un racconto di viaggio dagli inferi verso il paradiso. Anche in Giappone i racconti di viaggi hanno avuto particolare successo e interesse. Proprio nel '600 i diari di viaggio raggiunsero il loro apice e quello particolare di Bashō fu considerato, e lo è ancora, il più bello e il più famoso. Tale letteratura particolare aveva lo scopo di informare i viaggiatori dei pericoli, dei monumenti, delle locande e dei paesi visitati dagli autori. A differenza di quelli dei suoi predecessori, il diario di Matsuo è un susseguirsi di impressioni personali in cui sono innestati, come piccole gemme, gli haiku e le poesie dell'autore.
E' il 16 maggio 1689 quando Matsuo Bashō intraprende il suo ennesimo viaggio. Come si può leggere nell'incipit, il suo desiderio di viaggiare è irrefrenabile proprio come il vento "che sospinge le nuvole sparse".
Stavolta però la meta è la regione dell'Oku, posta nell'estremo nord e considerata a quei tempi selvaggia e di estrema bellezza.

Commovente è la narrazione dell'inizio del suo viaggio "...in un'alba velata con la luna ancora nitida in cielo...e io mi domando trepidante quando potrò rivedere i rami fioriti del vicino Ueno e di Yamaka. Mi accompagnano in barca gli intimi amici venuti a trovarmi la sera precedente. Pur sapendo quanto illusorio sia il porto di questo mondo, verso lacrime nel congedarmi, con l'animo oppresso dal pensiero delle tremila leghe di viaggio che mi attendono.


La primavera parte:
piangono gli uccelli
e lacrime spuntano agli occhi dei pesci.


La gente si raggruppa lungo la strada e mi accompagna con lo sguardo finché svanisce la mia sagoma.

Con sè ha quasi nulla: "Sono partito senza altra risorsa che il mio corpo, una veste di carta per proteggermi dal gelo notturno, un kimono di cotone, mantello e calzari di paglia per la pioggia, inchiostro, pennello e altri doni di congedo degli amici, che mi è arduo abbandonare benché, ovviamente, possano essermi di impedimento" scrive. E il viaggio ha inizio.

Nelle immagine alcune scene contenute nel rotolo dell' Oku no hosomochi scritto e dipinto da Yosa Buson e conservato nel Kyoto National Museum. Nella prima viene raffigurato Bashō intento nella sua capanna a Ueno mentre scrive le sue poesie. Nella seconda immagine, qua sotto, è raffigurata la scena della partenza.