lunedì 20 giugno 2011

LA POESIA DEL MESE DI GIUGNO

LA POESIA DI GIUGNO

Crudele il destino
mi colpì
come un fulmine il cielo.
Mi porto la pazzia
e zanne e artigli di belva feroce
che nessuno osa sfidare.

Cosa rimane della gloria passata ?
Tu vai in carri dorati
e io striscio per terra.
Questo dolore dicevo stanotte
ruggendo alla luna
che illumina il monte.
                                  (Nakajima Atsushi, 1909-1942)

Nakajima Atsushi, nato a Tokio nel 1909, è considerato da molti, essere appartenente a quella che viene definita della generazione "maledetta", non tanto per la vita dissoluta, ma per la brevità della sua esistenza. Morì a soli 33 anni per una semplice e banale polmonite. Dal nonno Nakajima apprende i primi rudimenti della lingua e cultura cinese e l'amore per le lingue straniere: sembra che parlasse correntemente il francese, il cinese, il tedesco e l'inglese e che avesse iniziato gli studi per il latino e il greco. La sua biblioteca personale, ora appartenente all'università di Tokio, contiene moltissimi libri degli argomenti più disparati, molti in lingua originale. Poco più che ventenne diventa professore di letteratura inglese e giapponese presso un liceo di Tokio. Pochi mesi prima di morire lascia il liceo e si trasferisce nelle isole Palau, a quei tempi possedimento giapponese, ed è qui che troverà molte analogie con il suo mito letterario, quello di Stevenson, autore da lui amato e di cui scriverà un romanzo biografico, "Luce, vento e sogni".
Il componimento qui postato è contenuto nel suo racconto "Cronaca della luna sul monte" (Sangetsuki).
Il protagonista è il cinese Li Zheng. Egli ha solo un sogno: quello di diventare un poeta stimato e famoso. L'orgoglio di considerarsi il miglior poeta e la sua superbia lo portano a considerare gli altri quasi con disprezzo, degli esseri inferiori. Nonostante i suoi sforzi, non riesce nel suo intento ed è costretto, per sfamare la moglie e i figli, ad accettare un lavoro come funzionario statale di basso rango. I suoi colleghi di un tempo, che cosiderava delle nullità, nel frattempo avanzano di grado e lui si ritrova ad essere un loro sottoposto. L'orgoglio ne viene ferito al punto che lentamente l'amarezza di ciò che non è diventato e la disperazione lo divorano dall'interno. A poco a poco, come nella "Metaformosi" di Kafka, si trasforma, spuntano gli artigli e le zanne, la sua voce si muta in un ruggito e diventa una feroce tigre. E al poeta di un tempo non rimane altro che ruggire alla luna impotente. Sul far del giorno, prima dell'alba, gli viene concessa la possibilità di essere umano per qualche minuto e sotto questa forma esprime, davanti a un vecchio amico che non vedeva da tempo, la poesia sopra citata.

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